Obesità

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venerdì 28 febbraio 2014

OGM

Riassunto.



Un OGM è un essere vivente con un patrimonio genetico modificato artificialmente tramite tecniche di ingegneria genetica, rese disponibili grazie a conoscenze di genomica. Si tratta di miceti, batteri, piante e animali apparsi per la prima volta negli anni ’70 e oggi utilizzati nei campi più disparati: dalla nutrizione all'agricoltura, dalla medicina alla ricerca fino all'industria, con il tentativo generale di donar loro nuove proprietà. È anche vero, però, che piante e animali hanno subito cambiamenti genetici notevoli nel tempo solo per intervento della natura, in quanto individui con le caratteristiche più auspicabili per la sopravvivenza.

Gli animali OGM vengono oggi utilizzati per la produzione di biomedicine o come modelli per la ricerca su malattie umane, xenotrapianti o miglioria delle produzioni animali stesse (latte e lana). Ma i prodotti OGM più comuni e sviluppati riguardano l’alimentazione con la suddivisione in piante GM di prima, seconda e terza generazione. Rispettivamente, le prime portano vantaggi ai coltivatori (resistenza a pesticidi e insetti, ritardo della senescenza), le seconde si concentrano sui benefici per i consumatori (maggiore valore nutrizionale, alta qualità, minore allergenicità) e le terze s’interessano esclusivamente della salute umana con vaccini e anticorpi.

Fino al 2005 l’area mondiale destinata alle coltivazioni OGM era di circa 90 milioni di ettari, divisi in ventuno diversi paesi, e complessivamente salgono a diciotto i nuovi prodotti autorizzati all’interno della Ue dal 2004 ad oggi; ma la fiducia degli europei e degli italiani nei confronti degli OGM è ancora esigua, colpevoli l’istruzione mancante e la difficoltà di rendere semplice la spiegazione di un argomento tanto complesso.

Attualmente l’Unione Europea si sta interessando in modo particolare a questi fatti cercando di garantire maggiore controllo per i prodotti geneticamente modificati.


Introduzione.

 

Un Organismo Geneticamente Modificato (sigla OGM) rappresenta un essere vivente che possiede un patrimonio genetico modificato tramite tecniche di ingegneria genetica, che consentono l'aggiunta, l'eliminazione o la modifica di elementi genici (Russel et Al. 2003).

In realtà le modificazioni e il trasferimento di materiale genetico non rappresentano un’innovazione prettamente scientifica, ma accadono naturalmente in molteplici occasioni e processi che sono all'origine dell’evoluzione. Diversamente, con il termine OGM s’intendono gli organismi nei quali le modificazioni genetiche sono state operate dall'uomo attraverso tecniche di ingegneria genetica.
Oggigiorno gli OGM vengono spesso erroneamente indicati unicamente come organismi transgenici: in realtà si utilizza questo termine esclusivamente nel caso in cui geni esogeni vengano inseriti all'interno di un dato organismo, mentre risultano essere organismi cisgenici quegli organismi la cui modifica non prevede l'inserimento di materiale genetico esterno (Brown T.A. 2004).

 

Miglioramento genetico tradizionale.


La modificazione del genoma è stata operata per secoli, prima ancora dell'avvento dell'ingegneria genetica, utilizzando ovviamente tecniche differenti.
Una di queste sta alla base della selezione, sia essa naturale o operata dall'uomo, ed è la mutazione casuale (Lewin B. 2003). Si tratta di un fenomeno che caratterizza ogni essere vivente, ma si presenta con una frequenza normalmente molto bassa, la quale può essere però facilmente aumentata con l’esposizione a radiazioni o ad agenti chimici mutageni.
Esistono poi le cosiddette mutazioni puntiformi (vale a dire riferite a brevissimi tratti di cromosoma o addirittura a singoli nucleotidi), ma anche delezioni e traslocazioni che interessano intere regioni cromosomiche (Alberts et Al. 2006). Le mutazioni, sommandosi nel tempo, hanno portato a evidenti modifiche geniche che nei secoli hanno permesso all'uomo di costituire e selezionare molte varietà agrarie e popolazioni animali oggi utilizzate nel comparto agro-alimentare con scopi benefici sia per il produttore-allevatore sia per il consumatore.
Un esempio storico di mutazioni indotte dall'uomo ai fini del miglioramento genetico è rappresentato dalla varietà di frumento "Creso", ottenuto per irradiazione dall'ENEA. Esso negli anni '80 è stato una delle varietà di punta per la produzione di pasta (interessando, sul mercato, circa uno spaghetto su 4) ed è oggi uno dei genitori delle attuali varietà commerciali (Brown T.A. 2004).
Un'altra tecnica molto diffusa per la miglioria genetica è l'incrocio: rappresenta una sorta di ibridazione che può avvenire non solo tra individui della stessa specie, ma anche tra specie per le quali è possibile riscontrare una compatibilità riproduttiva o per le quali è comunque fattibile la rimozione delle barriere (Russel 2003). Proprio su questa base, ad esempio, si sono prodotti il mulo o il bardotto, ma anche moltissimi ibridi tutt’oggi utilizzati per le produzioni animali e vegetali. Il vantaggio di questa tecnica è la possibilità, una volta identificata fenotipicamente una caratteristica d’interesse (ad esempio la resistenza a una malattia), di trasferirla in un'altra specie attraverso incroci mirati (Russel 2003).
La differenza sostanziale tra le tecniche di miglioramento genetico tradizionale e l'ingegneria genetica (le cui conoscenze stanno alla base dello sviluppo degli OGM) sta nella prevedibilità dei risultati. Nel caso della mutazione o dell'incrocio viene effettuata una selezione fenotipica, in base cioè alle caratteristiche visibili ed effettuata all'interno di popolazioni molto grandi (alcune decine di migliaia nelle piante e alcune centinaia negli animali); mentre l'ingegneria genetica prima elabora la modifica da eseguire e solo in seguito seleziona genotipicamente, in altre parole in base alle caratteristiche genetiche, gli individui che presentano le caratteristiche desiderate (Lewin B. 2003).




OGM, campi di applicazione.

Gli OGM sono oggi utilizzati nei campi più disparati: dall'ambito dell'alimentazione a quello dell'agricoltura, della medicina, della ricerca, e perfino dell'industria.

I BATTERI modificati nel loro genoma vengono adoperati nel ramo dell’agricoltura con lo scopo di migliorare le caratteristiche del suolo (batteri azoto-fissatori) o di proteggere le piante dal gelo (batteri ice-minus); nel campo della medicina il loro uso è finalizzato alla produzione di sostanze medicinali come l'insulina; mentre nell’industria assistiamo alla comparsa di batteri che sono in grado di degradare gli idrocarburi.

I MICETI OGM trovano applicazione nel campo alimentare con la produzione di enzimi usati nell'industria alimentare, in particolare per il miglioramento dei processi di fermentazione, come può avvenire nella produzione della birra; nella sfera medica, invece, sono impiegati nella produzione di biomedicine.
Con l’ingegneria genetica anche le PIANTE, normalmente e naturalmente fonti di una smisurata varietà di composti chimici, hanno acquisito caratteristiche addizionali e un enorme valore per la coltivazione e per il raccolto. Le tecniche transgeniche permettono il movimento dei geni, cui è legato un interesse su piano medico o agrario, tra differenti specie di piante.
I dati raccolti fino al 2005 presentano un’area mondiale destinata alle coltivazioni OGM di circa 90 milioni di ettari divisi in 21 diversi paesi.
Nell’agricoltura, le cosiddette “piante geneticamente modificate di prima generazione” sono state create con l’intenzione di migliorare le pratiche agronomiche: al primo posto, con una copertura dei terreni dedicati alle colture OGM del 71%, troviamo le piante tolleranti a specifici erbicidi; il secondo posto, con una percentuale del 18%, è occupato da piante resistenti agli insetti o ai virus, la cui tecnica è basata sull’introduzione di caratteri di resistenza specifica; è altresì possibile riscontrare varietà con un più elevato potere calorico e minori richieste di input chimici utilizzabili anche su aree marginali. All’interno della prima generazione è da annoverare il Flavour Savour tomato (Flavr Savr™), un pomodoro con un gene modificato per rallentarne la maturazione messo in commercio per la prima volta nel 1994 ( successivamente ritirato).
Gli ultimi dieci anni, invece, sono stati interessati largamente dall’incremento delle “piante GM (geneticamente modificate) di seconda generazione”; esse sono state sviluppate con caratteristiche benefiche per il consumatore, come ad esempio un più elevato valore nutrizionale, qualità migliore, bassa allergenicità, miglioramento delle caratteristiche organolettiche.
Nel campo dell’alimentazione troviamo validi risultati come una varietà di riso a elevato contenuto in β-carotene, il cosiddetto Golden Rice.
Per l’area medica è stata istituita una “terza generazione di piante OGM”, il cui progetto è ancor oggi in corso di svolgimento. L’idea centrale è quella della molecular farming, vale a dire la produzione a basso costo di sostanze farmaceutiche e chimiche sfruttando le tecniche biogenetiche applicate alla normale coltivazione agricola. Gli esempi più importanti coinvolgono la patata, contenente vaccini contro l’enterotossina di E. Coli, contro l’epatite B e contro il virus di Norwalk; il mais, invece, è interessato nella produzione di lipasi gastrica. Nel settore dell’industria lo scopo prefissato è quello di migliorare le caratteristiche richieste a livello industriale delle materie prime: per esempio il pioppo con un tasso di lignite inferiore per facilitare il processo di fabbricazione della pasta da carta; oppure piante coinvolte nella fitodepurazione, cioè capaci di estrarre metalli quali oro, rame e uranio, o in grado di degradare il TNT (trinitrotoluene) o di segnalare la presenza di radiazioni nel terreno di coltura.

Anche gli ANIMALI possono essere utilizzati nell’ambito degli OGM con fini connessi all’alimentazione per ottenere produzioni animali con migliori caratteristiche nutrizionali o organolettiche (ad esempio un latte con più alto contenuto in caseina o un latte privo di lattosio); o con fini legati ai progressi della medicina (produzione di biomedicine, modelli per la ricerca su malattie umane, come può essere l’oncotopo, e animali donatori di organi per xenotrapianti).

Le nuove tecniche.

Gli OGM oggi sul mercato presentano solamente modifiche limitate a caratteri di natura mendeliana, cioè quei caratteri che sono facilmente controllabili attraverso l'inserimento di uno o pochi geni che forniscono direttamente una data caratteristica (ad esempio la resistenza a una malattia) ( Russel 2003).
Ma nell’ultimo decennio l’esponenziale aumento d’informazioni rese disponibili dalla genomica ha consentito di mettere a punto organismi che presentino modifiche genetiche molto più complesse su caratteri quantitativi (ne è un esempio la resistenza agli stress) (Lewin B. 2003).
Le tecniche per ottenere gli OGM sono relativamente recenti e legate all’uso di nozioni di ingegneria genetica che permettono di inserire, all'interno del genoma di un organismo, frammenti di DNA provenienti dal soggetto stesso, da altri organismi della stessa o di un’altra specie. Il DNA così ottenuto è definito ricombinante. (Brown T.A. 2004)
I frammenti di DNA esogeno o endogeno da inserire nell’organismo da modificare, vengono estratti dal genoma di origine attraverso l'uso di Enzimi di Restrizione (ER), che funzionano come una sorta di forbici molecolari, e successivamente inseriti in un vettore ricevente grazie all’intervento di un ulteriore enzima: la DNA ligasi. I vettori, che hanno il compito di ricevere il tratto di DNA e d’inserirlo nell’organismo, possono essere sia piccole molecole circolari di DNA (i plasmidi, che possono accogliere frammenti fino a un massimo di circa 15.000 paia di basi), sia strutture derivate da virus, in grado di contenere quantità maggiori di materiale genetico (fino a circa 70.000 paia di basi). Esistono, inoltre, vettori che vengono utilizzati come dei veri e propri cromosomi artificiali; inseriti ad esempio nel lievito (noti come YAC, dall'inglese yeast artificial chromosomes) o nei batteri (BAC, bacterial artificial chromosomes), permettono l'inserimento di oltre 300.000 paia di basi, un quantitativo che rappresenta oltre lo 0,01% del genoma di un mammifero (Brown T.A. 2004)

I procarioti e la modificazione del DNA.

 

Il genoma batterico può essere modificato attraverso tre diversi processi:


·  La trasformazione batterica è un processo, osservabile in natura, attraverso il quale alcuni procarioti (detti competenti) sono in grado di ricevere tratti di DNA esogeno in grado di produrre nuove caratteristiche fenotipiche. Oggi sono state sviluppate alcune tecniche, per quanto molto empiriche, in grado di rendere competenti anche batteri che non lo sono in natura. È stato dimostrato, infatti, che l'ingresso di DNA può essere ampiamente facilitato dalla presenza di certi cationi, come Ca2+, o dall'applicazione di una corrente elettrica (attraverso l’impiego della tecnica dell’elettroporazione). I vettori che vengono usati in queste trasformazioni sono essenzialmente plasmidi: in seguito all'ingresso, essi non s’integrano nel genoma dell’ospite, ma rimangono in forma autonoma (in uno stato detto episomale).
·  Nella coniugazione batterica, il DNA è trasferito da un batterio all'altro attraverso un pilum (una struttura tubulare che può collegare per breve tempo i due batteri). Un plasmide in questo modo può essere trasferito da un organismo all'altro. La coniugazione è un fenomeno molto frequente in natura, ma è poco sfruttata come tecnica di modificazione genetica.
·  La trasduzione, infine, consiste nell'inserimento di materiale genetico nel batterio sfruttando l’azione di un virus batteriofago (Alberts et Al. 2006).
Per inserire il segmento di DNA che codifichi il gene voluto, è necessario che prima si abbia ben presente la funzione dei geni che si stanno trattando. Nei batteri ciò è relativamente semplice: per identificare la funzione di un gene specifico i ricercatori hanno messo a punto dei ceppi batterici particolari, i cosiddetti knock out. In questi ceppi viene eliminato il DNA relativo al gene d'interesse: osservando poi le conseguenze sulla vita del batterio, è possibile identificare la funzione del gene stesso (Russel 2003)
L'uso di ceppi knock out è oggi molto diffuso, e non solo fra procarioti. È possibile, infatti, realizzare knock out in numerosi organismi modello. Il gene responsabile della fibrosi cistica, ad esempio, è stato individuato in topi knock out: una volta individuato il presunto gene della fibrosi cistica nell'uomo (chiamato cftr), i ricercatori hanno individuato l'omologo nel genoma del topo, ne hanno fatto un knock out e hanno poi verificato che senza tale gene il topo presentava tutti i sintomi clinici della malattia.

Le piante e la modificazione del loro genoma.

La più utilizzata tecnica di modificazione genetica per le piante si fonda sulla capacità del batterio Agrobacterium Tumefaciens di infettare le piante provocando una crescita cellulare incontrollata paragonabile a quella che caratterizza i tumori negli animali; tale patologia è nota come "galla del colletto". L’A. Tumefaciens è in grado di infettare la pianta trasferendo un plasmide che s’integra così nel genoma dell'ospite. Il plasmide in questione contiene diversi geni che, una volta letti e tradotti dalla pianta, generano la galla e producono nutrienti essenziali per il batterio poiché ne permettono la crescita (Russel 2003).
Diversi scienziati, dalla seconda metà degli anni '60, hanno contribuito a comprendere il meccanismo e le condizioni attraverso cui un plasmide viene trasferito e integrato nel genoma della pianta: tra questi Jeff Schell, Marc Van Montagu, Georges Morel, Mary-Dell Chilton e Jacques Tempé. Grazie a tali scoperte, dal 1983 è stato possibile trasformare tutte queste conoscenze biologiche acquisite, in tecniche biotecnologiche e quindi sviluppare versioni del plasmide senza i geni che davano origine alla malattia, in cui erano, invece, presenti i geni d’interesse, permettendo così di produrre le prime piante transgeniche, oggi molto utilizzate per fini di ricerca o agro-alimentari.
Un altro dei processi alla base della produzione di piante OGM oggi molto utilizzato è il metodo biolistico (altrimenti detto gene gun o particle gun), che permette di "bombardare" la cellula vegetale con microproiettili rivestiti di DNA esogeno di modo che raggiungano facilmente l'interno delle cellule vegetali. Tale metodo è stato utilizzato, ad esempio, per la produzione del più comune cereale OGM: il mon810.
Le tecniche biolistiche vengono spesso usate per modificare piante monocotiledoni, mentre l’A. Tumefaciens e altri agrobatteri sono utilizzati per la modificazione dicotiledoni, nonostante gli ultimi studi abbiano permesso di mettere a punto ceppi di questo batterio che possono agire, trasformandole, anche sulle monocotiledoni.
Queste tecniche sono da utilizzarsi in complementarietà con quelle più empiriche già sviluppate nel progetto di modificazione delle piante di interesse agro-alimentare, che non vengono quindi del tutto sostituite: il loro patrimonio genetico ha, infatti, subito nel corso del tempo modifiche genetiche rilevanti con tecniche convenzionali che hanno dato origine alla stessa agricoltura (selezione artificiale o, più recentemente, l'induzione di mutazioni per mezzo di raggi x raggi γ).

Transgenesi animale: gli scopi.

Fra gli organismi transgenici è ovviamente possibile incontrare anche gli animali, la cui modificazione è legata a diverse tecniche.
Il primo trionfo nella transgenesi animale fu ottenuto con un esperimento che, sfruttando un retrovirus, applicava una tecnica ispirata a un fenomeno naturale: durante le infezioni virali, l’RNA dei retrovirus entra nella cellula dell’animale infetto, viene convertito in DNA e nei passaggi successivi integrato stabilmente nel genoma dell’ospite. Questa proprietà rende il retrovirus un buon vettore per trasferire materiale genetico all’interno di un organismo, anche se questa tecnica presenta alcune limitazioni.
Altri esperimenti, invece, hanno usato cellule staminali embrionali o germinali, ma il trasferimento nucleare (utilizzato per la creazione della pecora Dolly) associato alla manipolazione in vitro di colture cellulari è attualmente la tecnica più in uso.

  • Produzione di biomedicine. In realtà la produzione di biomolecole avviene anche da parte di batteri o lieviti, tecniche che risultano essere da una parte molto più economiche, ma che dall’altra presentano dei limiti dovuti sostanzialmente alle differenze metaboliche delle cellule batteriche rispetto a quelle animali. Per questo motivo è cresciuto largamente l’interesse per lo sfruttamento di tecniche di transgenesi per far produrre agli animali grandi quantità di molecole utilizzabili in terapia e prevenzione:farmaci, anticorpi o vaccini. La produzione di biomolecole può essere effettuata attraverso i liquidi biologici, tra cui il latte è senz’altro di più facile sfruttamento poiché viene prodotto in grandissime quantità. Tra queste biomolecole, alcune si trovano già a uno stadio avanzato di sviluppo (alcune addirittura in fase di approvazione per la vendita negli USA): si tratta di anticorpi policlonali e lattoferrina prodotti da bovini, fattore antitrombina III prodotto da capre e calcitonina prodotta da coniglie. Tuttavia a volte sono stati riscontrati alcuni effetti indesiderati negli animali impiegati per questi scopi, come per esempio inferiori produzioni di latte, inferiore durata della lattazione e infertilità.

  • Modelli per la ricerca su malattie umane. Molte malattie hanno un’origine genetica, o comunque hanno nel genoma i fattori predisponenti. Negli esperimenti i modelli animali possono agevolare enormemente lo studio di alcune malattie, riproducendo determinati tratti del genoma umano che sono alla base di alcune patologie. L’uso di animali da laboratorio geneticamente modificati (tra i primi topi e ratti) è già diffuso per lo studio di una serie di malattie, principalmente il cancro.

  • Xenotrapianti. Fra i vari settori di ricerca delle biotecnologie, uno in particolare riguarda lo studio di animali che possano essere sfruttati come donatori di organi per xenotrapianti. Essi sono trapianti di organi da una specie non umana all’uomo, e potrebbero rappresentare una nuova frontiera, considerando che la disponibilità di organi per gli allotrapianti (da uomo a uomo) è sempre inferiore alle richieste. Il suino è considerato la specie più adatta a questo scopo, perché presenta delle somiglianze anatomiche con l’uomo. Il maggiore ostacolo resta però quello immunologico, vi è cioè il rischio che l’organismo ricevente rigetti il trapianto producendo anticorpi contro l’organo trapiantato. Gli approcci transgenici puntano proprio a inibire le possibili reazioni anticorpali responsabili del rigetto. Altri studi hanno, invece, puntato sul trapianto di cellule o tessuti transgenici, che potrebbero offrire notevoli possibilità per la cura di diverse malattie, fra cui il morbo di Parkinson.

  • Miglioramento delle produzioni animali. Le ricerche sulla transgenesi animale non si occupano però solo dell’aspetto d’interesse medico; alcune hanno, infatti, il fine di aumentare la redditività dell’allevamento. Il processo di modificazione genetica può quindi puntare a migliorare la qualità di alcune produzioni (ad esempio latte, lana), ad aumentare la produzione di carne, la prolificità o la resistenza alle malattie. Un esperimento risalente al 2003 ha dimostrato che è possibile modificare geneticamente le vacche in modo che producano un latte a più alto contenuto in caseina, una proteina essenziale nel processo di produzione del formaggio. Altri ricercatori, invece, hanno studiato, nel topo, la possibilità di produrre un latte a ridotto contenuto in lattosio, che potrebbe essere assunto anche da soggetti intolleranti.


























Situazione attuale tra pro e contro.
«Nel 2000 noi non mangeremo più né bistecche, né spaghetti col ragù. Prenderemo quattro pillole con gran semplicità: la fame sparirà...». La canzonetta lanciata negli Anni ‘60 sulla scia di un’Odissea della scienza che s’annunciava meravigliosa e quasi pronta a sfidare le geometrie esistenziali, non ha visto avverarsi la sua profezia in banale rima: il pianeta nel nuovo secolo è ancora, in molte parti, una mano tesa e uno stomaco vuoto. E anche se quella scienza euforica ha più volte fatto naufragio, è però riuscita a trovare, sovente spinta da potenti multinazionali, anche porti nuovi. L’ingegneria genetica le ha consentito di compiere incursioni nella struttura del materiale vivente, disarticolare architetture biologiche e creare, così, chimere alimentari. Non “pillole”, ma nuovi cibi identificati da molti come possibile toccasana per il mondo affamato e da molti altri, al contrario, come frutti avvelenati d’una vera e propria strategia di conquista: terreno di polemica rovente per una delle questioni cruciali del nostro tempo sulla quale si scontrano opposte visioni in un intreccio che avviluppa etica, filosofia, politica, informazione, implicazioni sanitarie e sociali, strategie di business, rischi presunti o reali. (Francesco Sala, Professore Ordinario dell’Università degli Studi di Milano, pubblicato su La Stampa il 24 agosto 2004).
Gli OGM: dove e quando.

L’America convive da anni con gli alimenti transgenici e cisgenici; l’Europa, nascosta dietro la sua preoccupazione, ha decretato che, nell’agricoltura convenzionale, la contaminazione accidentale di organismi geneticamente modificati non possa eccedere lo 0,9-1%; la posizione dell’Italia segue probabilmente la linea più dura di tutto il vecchio continente. Proprio qui, infatti, aumentano sempre di più Comuni e Regioni che si dichiarano “OGM FREE”, forti anche dell’appoggio degli agricoltori scesi in campo per esprimere il loro totale rifiuto nei confronti del biotech, per il quale non ci sarebbe spazio né nei terreni, né sugli scaffali dei supermercati, né sulle tavole dei consumatori.
Lo scienziato-ricercatore provando a tratteggiare lo scenario alimentare mondiale del futuro prossimo, parte da una valutazione: le biotecnologie in agricoltura non avranno prospettive di buona riuscita né in Europa né in America. La fabbrica delle chimere (gli OGM) spopolerà, invece, in Asia dove a sostenerla non sono tanto i magnati degli affari mossi da smania di guadagno, ma gli stessi Stati asiatici.

Da cosa dobbiamo proteggerci?

Un luminare nel campo medico e della ricerca, Veronesi, sostiene un manifesto contro la demonizzazione degli OGM, sottoscritto da diciannove prestigiose società scientifiche italiane: «I cibi geneticamente modificati, oggi in commercio, sono assolutamente sicuri, affidabili e innocui. Non nascondono alcun rischio per la salute dell'uomo e degli animali. Dirò di più. Sono spesso più sicuri di molti alimenti cosiddetti “naturali”, poco controllati. Personalmente, se in Italia si potesse scegliere, preferirei nutrirmi di mais transgenico». (Pubblicato su La Repubblica il 4 novembre 2004).
Secondo le società scientifiche che maggiormente si occupano di biotecnologie, dall'Accademia Nazionale delle Scienze, all'Associazione nazionale dei Biotecnologi, alla Società italiana di Tossicologia, “gli OGM sono regolati da un quadro normativo che non ha eguali in campo alimentare e pertanto risultano essere più controllati di qualunque altro prodotto alimentare. Andrebbe perciò abbandonato l'atteggiamento meramente pro o anti OGM, a favore di un consenso razionale, proprio perché informato, sul processo e sui prodotti derivati" secondo gli esperti, i consumatori, invece di osteggiare ad ogni costo gli OGM, dovrebbero essere messi in guardia riguardo i pericoli contenuti nei più comuni e diffusi alimenti. «Nel pesto tradizionale ligure, per esempio, quello che si ottiene utilizzando piantine di basilico al di sotto dei dieci centimetri, - denuncia Francesco Sala - c'è una sostanza cancerogena, il metil-eugenolo, presente in dosi 600 volte superiori ai valori ammessi dalle normative sanitarie».
Un altro esempio ha come oggetto le aflatossine, che fanno parte di quelle cinque o sei micotossine rintracciabili nel mais, quindi nei mangimi animali e, al termine della catena alimentare, nel latte e nella carne che fanno capolino sulle nostre tavole. Il rischio è reale ed attuale, tant'è che la sola Lombardia ha distrutto il 20% della sua produzione di latte poiché conteneva aflatossine oltre i livelli di soglia permessi, mentre il mais OGM tanto contrastato ha un contenuto di aflatossine 10 o 15 volte inferiore al mais biologico.

Piante geneticamente modificate (PGM).

I geni eterologhi, cioè non naturalmente presenti nel genoma dell’organismo possono appartenere sia ad un organismo diverso da quello ospite sia essere costrutti chimerici comprendenti parti di geni differenti. L’espressione di tali geni può essere variamente regolata da promotori dell’organismo ospite o da promotori anch’essi eterologhi.
Nel momento in cui questi procedimenti trovano applicazione nel regno vegetale, abbiamo la possibilità di regolare la produzione di piante geneticamente modificate (PGM). Attualmente il numero di PGM utilizzate in agricoltura supera largamente la dozzina di specie e tra esse non presenziano più solo le major crops, coltivate estensivamente su tutto il pianeta, ma anche specie che crescono solo in determinate regioni del pianeta (mango, banana, papaya), spesso legate a tradizioni culturali e ad esigenze alimentari locali.

Applicazioni delle PGM.

L’attuazione pratica delle biotecnologie nell’agricoltura trova limite solo nella fantasia dei ricercatori e nelle conoscenze nel campo della biologia molecolare e della biochimica dei sistemi vegetali. Le piante rappresentano da millenni una risorsa biologica, e sono ancora in  grado di catalizzare l’attenzione essenzialmente per la loro capacità di produrre grandi quantità dei più svariati composti chimici e per la praticità di coltivazione.
L’ingegneria genetica fornisce alle piante caratteristiche e valori addizionali. Le piante GM (geneticamente modificate) di PRIMA GENERAZIONE presentano  vantaggi per il  produttore (tolleranza agli erbicidi, resistenze a insetti e virus, tolleranza alle malattie, maturazione e senescenza ritardate). Quelle di SECONDA GENERAZIONE presentano, invece, caratteristiche d’interesse per il consumatore (alti valori nutrizionali, arricchimento della composizione amminoacidica, qualità superiore, e minore allergenicità). Tra di esse vi sono, ad esempio, lattughe arricchite in ferritina, mais con un quantitativo incrementato di lisina (un amminoacido essenziale), riso con aumentati livelli di triptofano oppure soya arricchita di acido oleico o con un limitato contenuto di acido linolenico. Per quanto riguarda l’aspetto dell’allergenicità, sono stati prodotti risi con ridotto contenuto di albumina e glutelina (orizeina).
Con la TERZA GENERAZIONE, infine, l’attenzione è rivolta alla salute (vaccini, anticorpi e proteine farmacologiche). Ricordiamo tra i vaccini, quello per l’epatite B e per l’agente  di Norwalk prodotti entrambi nei pomodori, mentre gli spinaci sono stati sfruttati per generare il vaccino anti-rabbico. A livello della pianta di tabacco, sono stati prodotti gli anticorpi contro il linfoma di Hodgkin’s, e quelli contro la carie dentale. È importante citare, inoltre, la produzione in Arabidopsis  del Fattore Intrinseco, un composto prodotto a livello delle fossette gastriche che è in grado di legarsi stabilmente alla vitamina B12 (essenziale per la creazione degli eritrociti) impedendo che venga distrutta dall’elevata acidità (Powell K. 2007).

PGM di seconda generazione.

Golden Rice
Questo tipo di riso è stato così chiamato a causa del colore giallo brillante che assume l’aleurone (il chicco di amido), in seguito all’inserimento di un gene per la sintesi del β-carotene a livello dell’endosperma. I ricercatori sono stati in grado di manipolare geneticamente una varietà di riso giapponese da laboratorio (il Taipei 309, adatto sia al clima temperato dell'Europa sia a quello caldo-umido delle aree tropicali) introducendo una via metabolica che ha come fine la conversione di una porzione di un precursore ormonale (il geranyl geranyl difosfato, GGPP) presente nel riso, in β-carotene che viene poi trasformato all'interno dell'organismo umano in vitamina A.
Questa sostanza, chiamata anche retinolo, è un micronutriente liposolubile abbondantemente contenuto in uova, fegato e burro. Il  β-carotene fa parte di quell’ampia famiglia di carotenoidi, i precursori della vitamina A prodotti in frutta e verdura di colore verde e giallo; i carotenoidi vengono convertiti in retinolo solo dopo la loro assunzione attraverso la dieta. In particolare, i carotenoidi di origine vegetale presentano alcuni vantaggi rispetto al retinolo di origine animale, poiché un eccesso di retinolo può condurre ad un eccesso di vitamina A che diventerebbe tossica, mentre i carotenoidi richiedono complessi metabolici per essere convertiti.
Una carenza di vitamina A (Vitamin A Deficiency, VAD) può causare cecità notturna, xeroftalmia, cheratomalacia, deficienze nella crescita ossea e indebolimento nel sistema immunitario. Gli effetti clinici della VAD sono inversamente proporzionali con l’età del paziente cosicché nei bambini la mortalità raggiunge il 50%.
Il pathway metabolico della via biosintetica dei carotenoidi è stato studiato approfonditamente sia nei batteri sia nelle piante. In modo particolare nelle piante, i carotenoidi vengono sintetizzati a partire dal GGPP (geranilgeranildifosfato) all’interno dei plastidi. L’enzima Fitoene Sintetasi (PSY) catalizza la formazione di fitoene da due molecole di GGPP; il fitoene creatisi, a sua volta, è convertito a ζ-carotene (theta-carotene) per opera della Fitoene Denaturasi e successivamente a ProLicopene mediante la ζ-Carotene Denaturasi . La Carotene CisTrans Isomerasi catalizza la trans isomerizzazione del ProLicopene a TransLicopene che mediante la Licopene Ciclasi ( LCY) viene converito ad α e β carotene (Krawinkel MB. 2007)
La prima versione del Golden Rice era in grado di apportare il 15-20% dell’RDA per la vitamina A, nella seconda i livelli erano fino a venti volte più alti. Quello che ancora non sappiamo è come esso possa contribuire positivamente alla nutrizione umana in quelle aree dove vi è una radicata carenza di vitamina A, come l’India e altri paesi del Sud Est Asiatico e in Africa. Risolvere il problema vitale della deficienza della vitamina A è cruciale per milioni di esseri umani nel mondo, che soffrono di immuno-deficienze e problemi alla vista che possono facilmente sfociare in cecità.

Golden Potato
La Golden potato è un prodotto derivato dall’analisi di 86 linee indipendenti di patate transgeniche, modificate nella via di sintesi del β-carotene e testate per il suo contenuto. Il bersaglio di questa manipolazione sono stati tre geni in particolare, le cui diverse combinazioni potevano tradursi in un aumento più o meno accentuato della sintesi di β-carotene (Diretto G. et Al. 2007).
Caratteristica della “patata d’oro” è un contenuto in β-carotene 3600 volte maggiore di quello presente nelle comuni patate. Poiché il β-carotene è una molecola utilizzata nel processo di sintesi della vitamina A, si stima che 250 gr. di “patata d’oro” assicurino il 50% della dose giornaliera raccomandata di questa sostanza (RDA). Per assumere la stessa quantità di vitamina A sarebbe necessario mangiare una quantità pari a circa 900 Kg della varietà originaria (Desirèe).
Grazie a questa proprietà, la Golden potato ha stabilito un nuovo primato in ambito biotecnologico: il più alto contenuto in b-carotene tra quelli misurati nelle principali fonti caloriche per l’alimentazione umana, cioè grano, riso e mais.
All’indubbia importanza scientifica, si deve aggiungere la valenza socio-economica che la patata d’oro potrebbe potenzialmente ottenere riguardo al problema della denutrizione che affligge pesantemente i paesi in via di sviluppo. Poiché la povertà estrema continua a limitare l’accesso al cibo alla maggior parte della popolazione mondiale, l’obiettivo a cui mirano le biotecnologie è quello di rendere il cibo, soprattutto quello più facilmente coltivabile, quanto più nutriente possibile. Da questo deriva lo sforzo di creare piante transgeniche che abbiano un massimo contenuto nutritivo.
Fondamentale aspetto economico risulta essere la mancanza di brevetto per la Golden Potato, il che permette a tutti i Paesi che ne necessitano di usufruire dei vantaggi di questa varietà biotech senza un aggravio economico.

Soia  arricchita in amminoacidi solforati.
Uno dei rischi potenziali legato alla modificazione genetica delle piante ad uso alimentare è che l'inserto genico porti alla produzione di proteine non naturalmente presenti nella pianta che potrebbero causare reazioni allergiche in soggetti predisposti.
Questo evento è purtroppo già avvenuto nella storia degli OGM, in particolare nella fase di sviluppo di una varietà di soia geneticamente modificata tramite l'inserimento di un gene proveniente dalla noce del Brasile (contenuta in un frutto delle dimensioni di un’arancia, contenente da otto a ventiquattro noci e tipico della foresta tropicale) per migliorare il tenore in aminoacidi solforati (metionina e cisteina). Durante lo sviluppo è emerso che la proteina codificata dal gene inserito (Albumina 2S) era il principale allergene della noce. Alla luce di questi risultati la ricerca su questa varietà è stata abbandonata (Tu HM et Al. 1998). Poiché questo tipo di problema potrebbe presentarsi anche in altre specie, l'analisi di tale potenziale di rischio è per legge obbligatorio non solo nelle fasi di sviluppo dei nuovi OGM, ma anche nelle procedure di autorizzazione.
Oggi, infatti, grazie alle conoscenze acquisite dall'allergologia, è in parte possibile prevedere se una nuova proteina potrà avere o meno un potenziale allergenico. Inoltre, è previsto un piano di monitoraggio post-autorizzativo che consente in ogni momento di verificare la validità della valutazione e, qualora emergessero problematiche, di ritirare il prodotto per ulteriori verifiche.
Pomodoro Flavr Savr
Il pomodoro transgenico Flavr Savr TM ha la caratteristica di maturare e quindi di marcire meno velocemente rispetto ai pomodori naturali. I meccanismi per ritardare la maturazione si basano ancora una volta sull’introduzione di geni in antisenso che impediscono la sintesi di determinati fattori nel metabolismo dell’etilene. In quest’ottica sono stati prodotti pomodori in cui la sintesi dell’etilene è inibita attraverso il silenziamento dei geni deputati alla sua sintesi (ACC sintetasi o ACC ossidasi); ma vi sono anche prodotti in cui viene inibito il recettore dell’etilene e, conseguentemente, la cascata di eventi a valle viene impedita. In alternativa vengono inibiti enzimi che, in natura, sono attivati indirettamente dall’etilene e che hanno la responsabilità della degradazione della parete cellulare, come, ad esempio, la poligalatturonidasi.
Ogni cellula del pomodoro Flavr Savr contiene due geni estranei: il primo fa sì che la parete cellulare si decomponga più lentamente (in modo che il processo di decomposizione abbia un decorso rallentato), il secondo gene, invece, contiene le istruzioni per la resistenza ad un antibiotico, una proprietà non necessaria ai fini alimentari, ma utile per alcune verifiche di laboratorio. Il Flavr Savr è un pomodoro industriale, concepito per una produzione completamente razionalizzata e in grado di resistere ai lunghi tempi di trasporto e stoccaggio.
In realtà, il Flavr Savr possiede anche lati tutt’altro che positivi: è stato senza dubbio provato che le pareti cellulari si decompongono più lentamente, ma tutti gli altri processi di invecchiamento procedono secondo i bioritmi normali, col risultato che le vitamine e le altre sostanze fisiologicamente importanti come minerali e antiossidanti svaniscono con la stessa velocità dei pomodori naturali. Tuttavia, per le aziende produttrici l'importante è che il pomodoro Flavr Savr appaia fresco e sodo, e poco importa se, in realtà, possiede un valore nutritivo praticamente nullo. Ad essere precisi, quindi, non è la durata del pomodoro ad essere prolungata, ma il suo processo di immarcimento. "Questo pomodoro è ormai divenuto il simbolo di una degenerazione che in futuro osserveremo sempre più spesso  poiché si afferma che questo prodotto, geneticamente modificato, non invecchia: in realtà invecchia eccome, ma senza darlo a vedere. In questo modo, il primo e più importante requisito della buona cucina, quello appunto della freschezza dei prodotti, diventa una mera e ridicola farsa."
La vicenda del pomodoro Flavr Savr, narrata ne Il primo frutto (Sironi editore, 2003), è paradigmatica per molti degli aspetti che caratterizzano il dibattito odierno attorno alle biotecnologie, e in particolare riguardo agli alimenti prodotti a partire da OGM. La storia trattata è ambientata nel 1994, quando una piccola e aggressiva azienda biotech, la Calgene Inc., batte sul tempo la concorrenza e lancia sul mercato statunitense il primo OGM, un pomodoro modificato geneticamente in modo che il suo processo di maturazione risulti rallentato. Il successo nelle vendite è immediato e supera le aspettative, tanto che l’azienda fatica a star dietro agli ordinativi. Un paio d’anni dopo però il Flavr Savr è ritirato dal commercio. E la Calgene, sull’orlo della bancarotta, viene acquisita dalla Monsanto. Nel frattempo però, avendo approvato il pomodoro Flavr Savr, la Food and Drug Administration (l’organo che negli Stati Uniti disciplina la messa in commercio di alimenti e farmaci) ha aperto il mercato statunitense agli OGM.

PGM di terza generazione.

La produzione di medicinali a partire da piante è una tecnica di recente sviluppo, che offre prospettive incoraggianti sia sul piano medico sia su quello economico, trovando sempre più numerose applicazioni concrete (Keiko et Al 2006). Le piante, infatti, garantiscono un alto grado di sicurezza sanitaria, evitando tutti i problemi legati a possibili trasmissioni di virus che sono, invece, tipici delle biotecnologie che utilizzano molecole umane. Le piante, inoltre, hanno un'elevata capacità produttiva; ciò permetterà in una fase più avanzata di produrre farmaci meno costosi rispetto a quelli di sintesi (Charles Arntzen et Al. 2005).

Lipasi gastrica nel mais e nel tabacco.
I ricercatori che collaborano con la società Meristem Therapeutics, situata nel centro della Francia, hanno prodotto proteine del sangue, vaccini e medicinali utilizzando soprattutto piante di tabacco e di mais. Il prodotto più significativo è una lipasi gastrica destinata alla cura della mucoviscidosi dei bambini.
Il gene produttore della lipasi è stato prima isolato in laboratorio (dal canis canis, il cane comune) e poi introdotto nelle piante del mais che sono state fatte rigenerare e prodotte in lotti di terra, mettendo poi a punto le fasi d'estrazione della proteina e della sua purificazione. Sarebbero necessari 240 ettari di terreno coltivato a mais per produrre una tonnellata di lipasi. Allo stato attuale dei fatti, questa tecnologia è in fase di sperimentazione clinica.
Il gruppo Limagrain, cooperativa di agricoltori e proprietaria del 30% del capitale di Meristem, gestisce la produzione della semenza e del mais.
Quando la produzione di lipasi avrà ottenuto tutte le autorizzazioni per l'immissione sul mercato, Meristem potrà iniziare la produzione della molecola a livello industriale. Per quanto riguarda la commercializzazione della lipasi, Meristem si è associata al gruppo Solvay Pharmaceutical con la speranza di immetterla sul mercato entro cinque anni (Zhong Q. et Al 2006).

Enterotossina LT-B  nelle patate
Una delle frontiere più promettenti e affascinanti della biotecnologia vegetale è costituita dalla possibilità di far produrre alle piante vari tipi di vaccini. Infatti, così come è possibile intervenire per migliorare o far esprimere ex novo determinate caratteristiche, ora si possono anche inserire nel DNA di frutta e verdura (ma non solo) geni necessari all’espressione di fattori immunizzanti, in modo che risultino espressi nelle parti commestibili del vegetale (Tacket CO. 2005).
La produzione di vaccini in piante alimentari è senza dubbio molto più economica rispetto a quella effettuata in batteri, funghi, cellule di insetto o di mammifero. Le piante commestibili, infatti, possono anche servire come sistema di somministrazione orale dei vaccini stessi, rendendo possibile una forte riduzione dei costi concretizzata nella distribuzione dei vaccini nel terzo mondo.
Recentemente sono stati condotti due tipologie di studi di Fase-1, il primo su patate transgeniche che esprimono la subunità B dell’enterotossina labile al calore (LT-B) di Escherichia coli  (ETEC) e il secondo su patate che esprimono la proteina del virus Norwalk.
È vicina la valutazione umana anche per nuovi vaccini orali prodotti in altri tipi di piante transgeniche. La produzione di vaccini nel latte è, invece, per ora possibile nei conigli, che vengono trasformati geneticamente con il gene codificante per la proteina d’interesse, preceduto da un tratto di DNA (detto promotore) che permette la produzione di tale proteina specificamente nelle ghiandole mammarie dell’animale (Daley A et Al.2007).

Autoantigeni in patata e tabacco per la tolleranza orale nel Diabete I. 
Negli ultimi anni, la ricerca sta puntando ad ottenere la sintesi di quantità sufficienti di vaccino all'interno di ogni singola pianta, ma la sfida maggiore nasce dal bisogno di avere sostanze in grado di rimanere intatte, una volta ingerite,  fino al momento dell’auspicata reazione di difesa, e possibilmente in grado di innescare altri importanti meccanismi, quali l’immunità mucosale e il blocco dell'autoimmunità.  La prima è propria delle membrane di rivestimento delle vie respiratoria, digerente e riproduttiva, e produce una reazione generale dell’organismo donandogli la capacità di conservare la memoria degli “intrusi” da combattere (l’ingestione dei vaccini basterebbe per ottenere questo tipo di risposta); l'autoimmunità, invece, si manifesta quando le proteine prodotte dal corpo umano vengono erroneamente riconosciute come elementi estranei (autoantigeni): una delle forme più comuni di questa aberrazione è il diabete di tipo I, nel quale sono le proteine secrete dal pancreas (e produttrici di insulina) ad essere distrutte.
Il ruolo dei vaccini commestibili contro l'autoimmunità è strettamente legato al fenomeno della tolleranza orale, grazie al quale l'assunzione degli stessi autoantigeni, tramite frutta o verdura, porterebbe alla loro accettazione da parte del sistema immunitario. La tolleranza orale è, infatti, la difesa dell'organismo contro gli antigeni negli alimenti, regolata dalla natura stessa, con parametri per affrontare minacce che rientrano nell'equilibrio naturale.
I vaccini derivati dalle piante sono adattati per far intervenire il sistema immunitario della membrana mucosa a seguito dell'assunzione orale. I vaccini orali però possono incrementare il livello della tolleranza orale solo a seguito di un'esposizione ripetuta (Mokrzycki-Issartel N. et Al. 2003).
Se il sistema immunitario orale funziona, l'introduzione di alimenti guasti provoca immediatamente il vomito. Dopo l'esposizione ripetuta ad un antigene orale, il sistema immunitario della membrana mucosa non riconosce più l'antigene come tale, lasciando l'organismo indifeso dagli attacchi dell'agente patogeno, da cui il vaccino dovrebbe proteggerlo.
L'elevazione dei livelli della tolleranza orale è stata già usata per trattare malattie del sistema immunitario come il diabete, alimentando i pazienti con le piante che producono un antigene in grado di sollecitare il sistema immunitario. L'innalzamento dei livelli di tolleranza orale agli agenti patogeni è uno dei danni principali che derivano dalla contaminazione delle nostre risorse alimentari con i geni dei vaccini, mentre gli anticorpi terapeutici, anch'essi esternati nelle piante, compromettono la risposta spontanea del sistema immunitario. Questi due effetti sono discussi raramente dai sostenitori della modificazione genetica delle piante o dalle pubblicazioni scientifiche che segnalano gli studi (Ma S. et Al. 1999)
Il progresso scientifico in questo campo potrebbe aprire scenari insperati specialmente nei Paesi sottosviluppati, per i quali i vaccini convenzionali sono spesso costosi e di difficile accesso; mentre la distribuzione di piante immunizzanti come patate, tabacco, banane, pomodori, riso e mais costituirebbe l'accesso diretto ed economico a migliori condizioni sanitarie da parte di milioni di persone. Tutto ciò troverebbe un riscontro positivo solo a patto che si valutino attentamente le caratteristiche di ogni specie vegetale (meglio in questo senso utilizzare piante a crescita rapida e cibi crudi e poco deperibili) e che s’intenda investire correttamente nella distribuzione, rinunciando a facili tentazioni monopolistiche.


















Conclusioni.

 

Occorre prima di tutto ribadire alcuni concetti. Il nostro lavoro non si prefigge il compito di fare campanilismo o promozione degli OGM, ma semplicemente di dare una visione d’insieme riguardo tale argomento, oggi più che mai di grande interesse. Trattando di attualità,  ricordiamo che proprio in quest’ultimo periodo  le discussioni in merito hanno avuto toni particolarmente accesi: a partire dal 15 settembre 2007 e per un intero mese è stata attuata una consultazione volontaria, indetta da 31 associazioni della Coalizione ItaliaEuropa  “LIBERI DA OGM”, per un modello agroalimentare di qualità; e nella giornata del 24 ottobre 2007 la Commissione UE ha dato il via libera al commercio di mais e barbabietola biotech. A noi non resta che trarre le conclusioni.

Esistono indubbiamente rischi reali e rischi potenziali per la salute dell’uomo. Quello di maggior interesse è l'aumento delle resistenze agli antibiotici da parte dei batteri, argomento molto dibattuto su cui però non esistono vere e proprie evidenze scientifiche. Molte osservazioni hanno comunque fatto risaltare come le resistenze agli antibiotici si stiano rapidamente diffondendo, ma non solo in relazione al consumo di OGM. Il passaggio di geni che codificano per resistenze ad antibiotici da un organismo all'altro è un fenomeno possibile in natura e già verificatosi. Rimane ancora in sospeso l’eventualità che tale fenomeno possa avvenire anche tra un alimento OGM e i batteri della flora intestinale umana.
Ne è un esempio il caso avvenuto anni fa negli USA che portò alla morte di 37 persone, a seguito dell'assunzione di un integratore contenente triptofano ottenuto da batteri ingegnerizzati. La modificazione genetica aveva comportato un'alterazione nel metabolismo dei batteri con la comparsa di metaboliti secondari tossici del tutto sconosciuti ed imprevisti.
Considerando che ancora oggi il trasferimento di geni da un organismo all'altro è un meccanismo non ben compreso e non totalmente sotto il controllo dei ricercatori, è facile immaginare che il gene inserito in alcuni punti del DNA possa comportare sconvolgimenti a livello metabolico o addirittura attivare geni silenti o inattivare geni produttivi con conseguenze imprevedibili.
Esistono, inoltre, molte certezze sulle potenzialità allergeniche di alcune nuove proteine che originano da geni introdotti artificialmente in prodotti alimentari. L'inserimento negli alimenti di tali geni, che non hanno mai fatto parte della dieta umana, potrebbe portare alla comparsa di molte allergie. Sarebbe quindi un fenomeno imprevedibile, poiché non sappiamo qual è la quota di soggetti allergici ad una determinata sostanza che non è mai entrata in contatto con l'organismo umano.

Comportamento del pubblico.
La fiducia degli europei e degli italiani nei confronti degli OGM è minima, ed è tale ormai da tempo.
Già nel 2002, secondo Eurobarometro, in Italia, una persona su due bocciava senza appello i cibi geneticamente modificati; mentre test genetici e clonazione terapeutica risultavano promossi a pieni voti. Dall’indagine emergeva che gli italiani già allora erano più ottimisti degli altri europei nei confronti del biotech, ma si opponevano ai prodotti ritenuti futili o dietro ai quali si possono nascondere forti interessi economici, come gli organismi transgenici. Ma non è l’OGM in sé a far paura: il pubblico, infatti, si dichiara favorevole al loro impiego per la produzione di enzimi come additivi per detersivi meno dannosi per l’ambiente. Alta, invece, l’opposizione verso i prodotti ritenuti superflui o utili solo ad alcuni gruppi, come le multinazionali.

Nei primi mesi del 2004 un’ulteriore indagine della Coldiretti-Ispo, che interessava dati riferiti all’anno precedente, sulle “opinioni degli italiani sull'alimentazione”, mostrava che solo un italiano su dieci (i1 13%) era disponibile a consumare alimenti contenenti ingredienti OGM, a condizione, però, di ottenere uno sconto rilevante nel prezzo di acquisto; mentre più della metà dei consumatori (il 53%) dichiarava che non avrebbe acquistato alimenti biotech, neanche se fossero costati più del 20% in meno rispetto a quelli tradizionali.
Gli intervistati ammettevano di sentirsi scarsamente informati sull'argomento (il 45,6%) e volenterosi di avere più elementi di conoscenza. Emergeva, infine, che non si trattava di una scelta ideologica, in quanto il 55,3% era favorevole alla coltivazione degli OGM, a condizione che non ci fosse rischio di contaminazione verso le altre colture.
Nell’ottobre del 2005 emergeva una crescente attenzione alle caratteristiche qualitative dei cibi, dovuta alle preoccupazioni per le emergenze sanitarie, scoppiate col caso dell’influenza aviaria. Otto italiani su dieci (il 75% del totale) acquistarono in quell’anno prodotti alimentari con origine territoriale controllata (Dop, Docg), sette su dieci (il 68%) cibi biologici e quasi il 60% prodotti garantiti per l'assenza di organismi geneticamente modificati (OGM FREE).
Oggi, 62 cittadini su 100 appartenenti all’Unione Europea si dicono preoccupati per la presenza di organismi geneticamente modificati in alimenti e bibite, e in Italia la proporzione sale addirittura a 77 su 100.
Il no agli OGM non s’incrina neanche di fronte a una prospettiva d’immediato vantaggio: il 38% degli europei non li vorrebbero “nemmeno se fossero più sani”, il 41% “nemmeno se contenessero meno pesticidi” o “se fossero più eco-compatibili”. Neppure l’approvazione da parte di un’autorità competente o la maggiore convenienza economica sembrano essere garanzie di affidabilità (rispettivamente il 48% e 56% sarebbero ugualmente contrari).
Maggiore fiducia è, invece, riservata alle biotecnologie in campo medico. Il 59% degli intervistati si dice favorevole all’uso di cellule embrionali (contro un 26% che disapprova), e la percentuale sale al 65% quando di parla di cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale. I dati segnalano un generale aumento di consenso intorno alla ricerca biomedica e alle biotecnologie nel loro complesso. In particolare, fra il 1999 e il 2005, gli europei hanno guardato con più ottimismo allo sviluppo delle nanotecnologie, della farmacogenenetica e della terapia genica, considerate utili al miglioramento della qualità della vita.
2002
EUBAROMETRO in ITALIA
NO agli OGM
50 %


2004
COLDIRETTI-ISPO in ITALIA
Sono disposto a consumare prodotti con ingredienti OGM solo se scontati
13 %
Non sono disposto a consumare prodotti con ingredienti OGM
53 %
Non sono abbastanza informato sugli OGM
45,6 %
Sono favorevole alle coltivazioni OGM se non contaminano le altre colture
55,3 %


2005
In ITALIA
Ho acquistato prodotti a origine territoriale controllata
75 %
Ho acquistato prodotti biologici
68 %
Ho acquistato prodotti OGM FREE
60 %


2006
COLDIRETTI in ITALIA
Gli OGM più resistenti ai parassiti e/o per accrescere le rese sono l’innovazione più rivoluzionaria e interessante
4,1 %


2007

In ITALIA: Sono preoccupato per cibi e bevande OGM
67 %
In EUROPA: Sono preoccupato per cibi e bevande OGM
63 %
Non acquisterei prodotti OGM neanche se più sani
38 %
Non acquisterei prodotti OGM neanche se non contenessero pesticidi
41 %
Non acquisterei prodotti OGM neanche se approvati da autorità competenti
48 %
Non acquisterei prodotti OGM neanche se più convenienti
56 %
Non comprerò più prodotti biologici se sarà ammessa la contaminazione con OGM nello 0,9% senza indicazioni in etichetta
60,1 %
Comprerò più prodotti biologici se sarà ammessa la contaminazione con OGM nello 0,9% senza indicazioni in etichetta
12,7 %
Sono favorevole all’uso di cellule embrionali
55 %
Non sono favorevole all’uso di cellule embrionali
26 %
Sono favorevole all’uso di cellule embrionali del cordone ombelicale
65 %

(http://www.coldiretti.it)

Le regole per l’etichettatura dei prodotti contenti ingredienti OGM vengono contestate da molti, e difese da quelli che sono convinti, invece, che la ricerca sugli OGM deve essere comunque garantita, in quanto espressione della libertà della ricerca. Ma  i detrattori sostengono che la libertà della scienza non può diventare il paravento dietro cui si nascondono interessi specifici e comportamenti spregiudicati. Oggi la concezione della ricerca e della scienza come dominio esclusivo di pochi specialisti, “troppo esperti” per confrontarsi col pubblico, è un mito ormai superato dai fatti. Tuttavia, spesso il grande pubblico non è sufficientemente informato riguardo agli OGM: troppe volte si è a conoscenza solamente del parere dei contrari (GREENPEACE per fare un esempio) e, in molti casi, il livello d’istruzione del pubblico rende complicato spiegare nei termini più semplici possibili il difficile argomento, senza dover cadere nelle solite banalizzazioni.

Il 24 ottobre 2007, la Commissione Europea ha dato il via libera definitivo al commercio del mais transgenico 59122, chiamato anche Herculex Rw, su cui i ventisette Stati membri non sono riusciti ad avere né una maggioranza a favore né una contraria. Con il consenso di Bruxelles, è terminata la lunga procedura di autorizzazione, la cui decisione è rimasta nelle mani della sola Commissione Europea, proprio per l'impossibilità del Consiglio dei ministri Ue di trovare sulla questione una posizione comune. Il via libera riguarda anche altri tre alimenti biotech: si tratta della commercializzazione sul mercato europeo di una barbabietola da zucchero geneticamente modificata (l'H7-1) e di altri due mais ibridi biotech (il 1507xnk603 e il 603xmon810).




        Complessivamente salgono a diciotto i nuovi OGM che sono stati autorizzati all’interno della Ue dal 2004 ad oggi. Di questi solo otto hanno avuto l’autorizzazione per l’uso nella preparazione di foraggi (quattro varietà di mais, tre di rape e una di soia).  Tuttavia, nessun OGM è stato ancora autorizzato per la coltivazione.
E’ interessante osservare, come tale approvazione abbia preoccupato il responsabile del tavolo agroalimentare della Ue, Ludger Fischer, secondo il quale sarebbe ora a rischio anche la semplice pizza: «In Europa ci si concentra soprattutto sull'etichetta per individuare la presenza di OGM nei prodotti», una situazione che, secondo Fisher, non ci mette al riparo da inconsapevoli degustazioni biotech, come appunto nel caso della pizza. Potenziali rischi sono legati, dice l'esperto Ue, alla farina di granturco che «non ha OGM approvati» in Europa e che pertanto «ha pochi obblighi di etichettatura». «Il lievito, aggiunge, è quasi tutto OGM, per aumentarne il potere di lievitazione». Ma anche in questo caso «non ci sono obblighi di etichettatura». Poi gli additivi del gusto, «enzimi e acidi di soia». Quest'ultimi, riferisce Fischer, «sono approvati dall'Unione Europea», e in questo caso «il produttore ha l'obbligo di indicarlo in etichetta». Manca il formaggio: «potrebbe contenere enzimi OGM, rileva il responsabile Ue, ma, siccome vengono distrutti dal processo produttivo, non c'é l'obbligo di etichetta». E poi l'olio: «Questo, dice Fischer, è un punto delicato. Quelli di soia e di colza hanno una grande produzione a livello mondiale di OGM. Mentre non c'è produzione in Europa», che pure consente «l'importazione e l'esportazione» e «permette l'arrivo di questi prodotti».
Proprio all’interno dell’Unione Europea, oggi, un OGM o un prodotto derivato da OGM può essere messo sul mercato solo dopo aver ottenuto un’autorizzazione scritta che coinvolge tutti gli stati membri; essa può essere raggiunta col superamento di una dettagliata procedura basata su una valutazione scientifica dei rischi per la salute e l’ambiente; il prodotto viene, inoltre, controllato per assicurarsi che non pregiudichi gli interessi dei consumatori.
La coltivazione delle piante GM potrà però avere delle implicazioni per l’organizzazione delle produzioni agricole. Il passaggio del polline tra campi adiacenti è, infatti, un fenomeno naturale. A causa delle esigenze di etichettatura per il cibo e i mangimi GM, questo fatto potrebbe avere delle conseguenze economiche per i coltivatori che vogliono produrre piante tradizionali destinate all’alimentazione. La coesistenza di colture tradizionali e colture OGM permetterebbe agli agricoltori di poter scegliere tra produzioni convenzionali, organiche e colture OGM in conformità con gli obblighi legali per l’etichettatura e gli standard di “purezza” del prodotto.




Interazione fra nutrizione e genoma.
Gli esseri viventi sono il risultato dell'interazione fra l’ambiente interno e quello esterno. Il DNA umano, racchiuso in 46 cromosomi, è il fattore interno primario che regola la specie, la durata della vita, le risposte all'ambiente esterno. Nei geni sono dunque scritte tutte le caratteristiche dell'essere vivente; però, questi geni non si esplicano tutti contemporaneamente, ma la loro espressione è regolata da fattori esterni al DNA.
Se si pensa che un individuo nell'arco della sua vita introduce circa duecento tonnellate di cibo, è ovvio pensare che la nutrizione rappresenti un fattore esterno di notevole rilevanza nell'interazione ambiente-espressione genica. È già conosciuta l'interazione tra alcuni metalli pesanti induttori (rame, zinco) e geni specifici che sono anche regolati dalla quantità di metalli pesanti presenti nella dieta, che svolgono la loro azione penetrando nel nucleo della cellula.
Allo stesso modo, la quantità di ferro assorbito dalla cellula può influenzare, attraverso l'interazione con proteine specifiche, l'espressione di due geni coinvolti nel metabolismo cellulare del ferro.
Nel favismo, la carenza dell'enzima glucosio -6- fosfato-deidrogenasi, si manifesta quando questi individui mangiano fave. Tali legumi contengono glucosidi ossidanti resistenti anche alla cottura e quindi, l'interazione tra questi e il DNA di tali soggetti causa crisi emolitica; sono quindi proprio questi glucosidi alimentari che regolano l'espressione di geni specifici. Esistono in letteratura molti altri esempi d’interazione fra il genoma e nutrienti o molecole non nutrienti presenti in alcuni alimenti, i quali possono agire direttamente sull'espressione di uno o più geni a diversi livelli.

Detective OGM.
I denigratori degli OGM, come GREENPEACE, divulgano le loro idee diffondendo  volantini  che ricordano al consumatore di controllare le etichette apposte sui prodotti, e che dai cereali, ai cibi pronti fino a margarine e oli vegetali, gli ingredienti e gli additivi ottenuti da Organismi Geneticamente Modificati, quali soia e mais, possono essere utilizzati in centinaia di altri prodotti alimentari.
In Europa, dove il consumatore generalmente rifiuta gli alimenti OGM, ricordano, inoltre, che la maggior parte della soia e del mais OGM finiscono nei mangimi animali. Questo significa che gli OGM possono “infiltrarsi di nascosto nei nostri carrelli della spesa se mangiamo carne, uova, o latte e suoi derivati”.
Sollecitano i consumatori a diventare “Detective OGM”, consigliando che, nel caso si venisse a conoscenza di un prodotto etichettato OGM, si prenda nota del nome del prodotto e del produttore, del nome e dell’indirizzo del supermercato, la data di quando è stato trovato il prodotto in questione e l’ingrediente OGM segnalato sull’etichetta. Il consumatore è sollecitato a esprimere apertamente il suo rifiuto agli OGM spedendo una lettera di protesta al negoziante o produttore alimentare e richiedendo la vendita di alimenti non contenenti OGM.


L’attualità più recente.

Che l’Italia sia del tutto contraria agli OGM non è certo una novità, e non dovrebbe quindi sorprendere l’ultima richiesta tutta italiana, ma appoggiata da altri tredici stati membri europei, di bloccare ogni autorizzazione Ue alla coltivazione o importazione di OGM. Il fine è quello di modificare le normative vigenti per poter garantire ai cittadini più controlli sui rischi per la salute e quindi una maggiore trasparenza. In realtà, è intenzione finale del sottosegretario all’Ambiente Marchetti lanciare un’iniziativa per una vera e propria moratoria del transgenico. La volontà di impedire il transgenico trova campo fertile nel timore, più o meno motivato, che anche biodiversità, sapori e paesaggi vengano messi a repentaglio dalle tecniche genetiche.
E tale allarme è stato ampiamente dimostrato dai risultati della Consultazione Nazionale iniziata il 15 settembre e terminata in anticipo rispetto ai 60 giorni previsti: più di tre milioni di cittadini hanno detto sì alla sostenibilità delle pratiche agroalimentari, a un cibo sano e di qualità e a un futuro libero da Ogm.
Alla base del progetto vi era la finalità di coinvolgere l’intera comunità nazionale in un processo di ricoesione sociale alla quale si aggiunge anche l’obiettivo di aprire un dialogo diretto con le istituzioni, nazionali e comunitarie, circa il modello di sviluppo dell’Italia  nell’ambito dei rapporti internazionali.
Soddisfatte le trentadue organizzazioni promotrici dell’evento che ritengono la vittoria come "un'efficace difesa del made in Italy". Quello che ora si propongono è di valorizzare le produzioni del territorio e di difenderle dalla omologazione e dalla delocalizzazione, in favore di un tipo di agricoltura che sia in grado di rispondere alle domande dei cittadini, che chiedono di consumare alimenti di qualità, con un forte legame territoriale.
Così, voti cartacei, on-line e via sms, appartenenti perlopiù a impiegati tra i 26 e i 50 anni, hanno stabilito definitivamente che gli organismi geneticamente modificati non sono funzionali al modello di sviluppo del nostro paese e agli interessi dei consumatori.
Forse è veramente arrivato il momento, tanto atteso dalle organizzazioni anti-OGM, che sancisce la chiusura dello scontro sugli organismi modificati geneticamente, considerato futile, poiché non farebbe altro che sottrarre  tempo, risorse e attenzione ad altri temi importanti.
Per quanto, però, i responsabili promotori della Consultazione si proponessero di instaurare un vero e proprio dibattito per far crescere la consapevolezza dei cittadini e fare in modo che fossero in grado di deliberare sul sistema agroalimentare e sugli OGM, in realtà la diffusione capillare di notizie è stata fortemente indirizzata verso un solo campo: quello dei sostenitori del biologico e convinti anti-OGM. Colpevole la manipolazione dei mass-media, l’informazione giunta ai cittadini è apparsa, infatti, non tanto distorta, quanto piuttosto incompleta. 







Bibliografia.

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SITI INTERNET:
Dott.ssa Lia Rossi Prosperi Biologa Nutrizionista Specialista in scienza dell'alimentazione: http://www.alimentarsi.com/ogmnews.htm 
Prof. Paolo Manzelli : Alimentarsi nella società dell’informazione:  http://cronologia.leonardo.it/storia/tabello/tabe1625.htm
Veronesi sostiene un manifesto contro la demonizzazione degli OGM: http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/politica/ogmo/docuvero/docuvero.html
Ricerca dell'Istituto di Politica Alimentare Rutgers: Usa, ogm nel 75% dei cibi lavorati:http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=2303  
D.ssa Marina Mariani: OGM perché NO: http://www.disinformazione.it/ogm_perche_no.htm   
Manuale di MEDICINE ALTERNATIVE BIOLOGICO NATURALI:  Dai cibi OGM ai Farmaci e Vaccini: http://www.mednat.org/alimentazione/cibi_farmaci_vaccini.htm  

OGM nocivi? No, può esserlo il pesto. Intervista a Francesco Sala: http://www.onestipiaceri.com/archives/000177.html   

24 ottobre 2007 Ogm, sì della Commissione Ue a mais e barbabietola biotech:  http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Attualita%20ed%20Esteri/Attualita/2007/10/ogm-vialibera-ue.shtml?uuid=ab24203a-823e-11dc-b178-00000e25108c&DocRulesView=Libero

Rischi dell’alimentazione mediante OGM: http://www.alimentarsi.com/ogmnews.html

Sondaggio Mediatico Coalizione ItaliaEuropa “LIBERI DA OGM” : http://www.liberidaogm.org

Andamento della valutazione dei prodotto OGM da parte di “clienti” italiani e europei secondo la Coldiretti: http://www.coldiretti.it

L’attualità più recente sugli OGM: http://ec.europa.eu/index_it.htm


LIBRI DI TESTO:

Alberts B. at Al. “Biologia molecolare della cellula” Zanichelli 2006 (1680pag)

Brown T.A. “Genomi” Edises 2004  (472 pag)

Lewin B. “Il gene VI” Zanichelli 2003 (1097 pag)

Russel Peter J. “Genetica” Edises 2003 (890 pag)

Belinda Martineau “Il primo Frutto” Sironi Editore  2003  (250 pag)














 

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